Non basta parlare o scrivere, ma scegliere le parole giuste in primis per farci comprendere, ma anche per rendere al meglio le nostre intenzioni, le nostre qualità e il nostro punto di vista. Sara Serafini ha intervistato per questo Emanuele Maria Sacchi che ha come sempre fornito in maniera puntuale consigli pratici per cambiare in meglio la qualità della nostra vita, non solo lavorativa, a partire da poche semplici parole. Ecco alcuni suggerimenti del “codice segreto delle parole”.
Qual è la parola più usata nella vita lavorativa?
Da un’indagine condotta in Italia è emerso che la parola più utilizzata nella vita lavorativa è la parola problema. Non si tratta certo di una parola positiva, a nessuno piace avere una vita problematica. In effetti quando una persona, un collega bussa alla nostra porta o ci telefona e ci dice: Ciao sai che c’è un problema? Di solito non facciamo salti di gioia. Questo modo di dialogare si può cambiare. Bisognerebbe impegnarsi ad eliminare la parola problema, perché il nostro cervello traduce le parole con accezione negativa in energia negativa, quindi più uno parla di problemi più ha una vita problematica. Basterebbe quindi sostituire la parola problema, per esempio con situazione da risolvere. Questo rappresenta non tanto una differenza lessicale ma pratica. Un esempio, se io Emanuele continuo a ripetermi ho un problema, ho un problema, la frase ho un problema implica un panorama statico, essere dentro al problema. Invece se riuscissimo a dirci: Ho una situazione da risolvere, introdurremmo una visione dinamica. Situazione da risolvere implica che faremo qualcosa, o almeno ci proveremo. L’atteggiamento passa da passivo ad attivo, da reattivo a proattivo.
Quali sono i verbi da evitare?
Ci sono alcuni verbi assolutamente da evitare quando si parla di linguaggio persuasivo, sono quei verbi che io chiamo a Due Vie, perché insinuano il dubbio nel nostro interlocutore. Il primo verbo da evitare è tentare. Chi tenta può farcela, ma anche no. Tutte le volte che usiamo questo verbo, per esempio: tenteremo di organizzare un appuntamento. Tenteremo di definire questo progetto. Passiamo il messaggio inconscio del: ce la faremo o no? Ci impegneremo o non ci impegneremo? Al posto del verbo tentare è molto meglio usare: Faremo di tutto per… La stessa cosa vale per il verbo provare. Un altro verbo a due vie è sforzarsi che non definisce un risultato ma suggerisce implicitamente il dubbio. Poi il verbo a due vie più comune di tutti che è cercare. Chi cerca può trovare, ma anche non trovare. L’alternativa positiva è sempre la stessa: Farò o faremo di tutto per… L’ultimo verbo a due vie è sperare. Sperare non ci dice se una cosa andrà bene o meno. Tutte le volte che usiamo uno di questi verbi instilliamo nel nostro interlocutore incertezza. Tutte le volte che invece diciamo: faremo di tutto per… Non garantiamo ovviamente il risultato, ma senza dubbio l’impegno e l’efficacia della nostra frase sarà molto diversa.
Ultima curiosità: quali sono le forme dubitative più comuni e come poterle evitare?
Le forme dubitative più comuni sono i Ma, i Però, i Se, i Magari. Prendiamo ad esempio i Ma e i Però. Ogni volta che una persona ci risponde: Sì, ma… Sì, però… Non si tratta di un Sì, non illudiamoci. Se si trattasse di un sì, non ci sarebbero ma o però… si tratta invece di un modo gentile per dire no. Se lo dicono gli altri amen, ma se scappa a noi una forma dubitativa, trasmettiamo al nostro interlocutore un atteggiamento di contrasto. C’è un modo per eliminare i ma e i però, ed è quello di sostituirli con una bella e semplice E. Sì e inoltre considera anche questo aspetto… la e è congiuntiva, aggiunge. Mi rendo conto che nel linguaggio verbale ci vuole tanta pratica e allenamento per fare questo, forse risulta più facile iniziare dalla forma scritta, nelle e-mail o nei messaggi. A volte le parole fanno la differenza, cambiare una parola significa cambiare anche il risultato, ed è questa la bellezza e la meraviglia del linguaggio.